Petite Messe Solennelle
ultima composizione di Gioacchino Rossini
Dopo aver composto il Guillaume Tell (1829), Rossini si rinchiude in un isolamento artistico che conosce soltanto due eccezioni: lo Stabat Mater del 1842 e la Petite Messe Solennelle del 1863. Resta impressionante il fatto che con la Petite Rossini abbia raggiunto il capolavoro assoluto della sua vita, dopo un’interruzione che avrebbe inaridito qualunque altro talento. In realtà Rossini si tenne in allenamento scrivendo numerosi brani per pianoforte, da lui denominati Peccati d vecchiaia.
E’ utile fare riferimeto a questi frammenti musicali per comprendere come Rossini abbia pensato al suono del pianoforte come strumento principale pr questa opera sacra. La Petite Messe Solennelle infatti, scritta per due pianoforti ed un harmonium, è il frutto di un quotidiano amore per lo strumento, elemento essenziale alla nascita di questo capolavoro.
La Petite fu eseguita per la prima volta nel salotto di casa Pillet-Will secondo le disposizioni di Rossini: “per dodici voci del coro e quattro solisti vocali che si univano nel tutti, per un totale quindi di sedici voci”. Rossini fu presente ma non diresse nè richiese la presenza di un direttore: si limitò a girare le pagine dello spartito del pianista.
L’attributo petite si riferisce non solo ad un gesto di modestia dell’autore, ma soprattutto alla piccola formazione strumentale e vocale della composizione. La versione orchestrale è stata allestita per il 25 e 26 febbraio 2018 rispettivamente nella Concattedrale di Taranto e nella Cattedrale di Bari con l’Orchesra Magna Grecia e la direzione del maestro Gianluigi Gelmentti e fu scritta quattro anni dopo la composizione della versione più intima per due pianoforti e harmonium dallo stesso autore “per evitare che qualcun altro lo facesse”.
La Petite Messe Solennelle è musica sacra, è musica religiosa, è musica che si rifà al lontano passato, alla tradizione della musica liturgica. Nel volgere lo sguardo all’antico, Rossini compie il prodigio di preparare il futuro. Quei suoni spogli di ogni inutile orpello, quella linea di canto che non sai se definire da teatro o da chiesa, quel coro che nella sua trasparenza celebra l’amore di Rossini per i testi antichi, tutti questi elementi insieme fanno del timbro della Messe un unicum che guarda all’oggettivazione stravinskiana, al Novecento che prende le distanze dalla retorica romantic e dai vapori decadentisti di fine secolo.